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Vini Vicentini: i preziosi documenti della Bertoliana

Vini Vicentini: i preziosi documenti della Bertoliana

Negli straordinari archivi della Biblioteca Bertoliana sono presenti alcuni preziosi documenti che attestano l’evoluzione del mondo dei vini vicentini, dal 1400 ad oggi, tra osti, bozze, vitigni e convivialità

 

«Buonissime vigne e preziosi vini» del territorio vicentino in età moderna

Vigne a perdita d’occhio: questa è la provincia di Vicenza dai colli Berici alle colline di Gambellara e Breganze, dalla pianura alle propagini dei Lessini.
Nel Veneto, le prime tracce di coltivazione della vite risalgono all’epoca dei Paleoveneti o degli Etrusco-Retici (VII-V secolo a. C.). In epoca romana nel Vicentino la viticoltura era diffusa in tutta la fascia collinare. La caduta dell’Impero e le invasioni barbariche portarono ovunque il declino dell’agricoltura, inclusa la viticoltura.
Tra i numerosi vitigni citati nelle cronache venete del ‘200-‘300 si trovano: Garganega, Schiava o Slava, Durasena (o Duriciana), Groppello, Vernazza, Marzemina, Pinella, Varadua, Brumesca, Ribolla, Tremarina.

Nel corso del ‘400 la viticoltura ebbe ovunque nuovo impulso. Nella terraferma veneta fu il dominio veneziano a stimolare la coltivazione delle viti: il vino rappresentava per la Serenissima un importante merce da destinare al commercio interno e estero.
Le viti venivano coltivate in filari condotti in consociazione con il frumento. La vite era maritata, ossia appoggiata ad alberi quali l’olmo, il pioppo, il fico, l’olivo. Questo sistema dette luogo alla più originale forma d’allevamento viticolo veneto, la piantata, che caratterizzò il paesaggio agrario veneto fino al ‘900.
Il consolidamento della civiltà della villa nel ‘500 portò anche a un rinnovamento delle produzioni vitivinicole, culminato con l’importazione di nuovi vitigni esotici come la Malvasia dei Balcani.
Nello stesso secolo comparvero nel Vicentino i vini «piccanti», cioè frizzanti, che si producevano in collina.
Filippo Pigafetta, nella Descrizione del territorio e del contado di Vicenza (1602-1603), descrisse il «Chiaretto», meraviglioso vino di Malo, che «s’esalta per la state, sembiante al color e odore della Marasca matura […] dalla fermentazione lenta che si esaurisce nell’estate successiva all’epoca di produzione».

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L’inizio del Seicento fu un periodo molto positivo per la viticoltura veneta. I vini del Vicentino erano all’apice del successo e venivano in buona parte esportati; questa fortuna commerciale ebbe come conseguenza l’estensione del territorio vitato, dai Colli Berici fino alla Pedemontana. Particolarmente rinomati erano i vini di Orgiano, Breganze e Schio, dai nomi: Durasena, Varadua, Brumesca, Sclava, Turbiana, Cravara, Begola, Ussolara, Lugliega, Gatta, Negrara.

A partire dalla seconda metà del XVI secolo fino a tutto l’800 la qualità della produzione peggiorò quasi ovunque, complice l’epidemia di filossera che a metà dell’Ottocento rischiò di distruggere per sempre la viticoltura europea. Nel 1855 si tenne al Museo civico di Vicenza la Prima Mostra dei prodotti primitivi del suolo della industria e belle arti. Il catalogo descrive i vini prodotti sul territorio vicentino nei secoli precedenti l’epidemia della filossera: elenca 120 varietà Nere e Rosse, e 25 Bianche.

Osti e osterie: il mercato del vino a Vicenza

Il vigneto e il vino sono una parte importante delle società fin dall’antichità, intimamente associati all’economia e alla cultura tradizionale. Il vino ha investito di sé il vasto campo dei valori simbolici ed è sinonimo di festività, ubriachezza, convivialità.
Le culture hanno sempre individuato precise modalità sociali di accesso al vino, condannando l’uso smodato e solitario del bere, e favorendo quello cerimoniale e collettivo. Bere «secondo cultura» ha determinato tendenze e comportamenti collettivi: dal bere in giuste dosi al bere secondo l’estetica e il gusto.

La vendita del vino a Vicenza nel 1448  avveniva in nove osterie: al Sole, al Bo, a le Gazole, a l’Orso, a la Crose, a la Spa, a la Roxa, al Pavan, al Capelo. L’Estimo del 1563-64 ne conta sette, tra cui l’«Hostaria che vende Malasia sotto il volto della Malvasia». Quello del 1640 ne riporta ventitre. Nel 1798, all’indomani di Campoformio, se ne contano ben centotrentadue.
Le insegne si moltiplicano nel tempo: Guanto, Mano d’oro, Pellegrino, due Gobbi, Oseo, Sole, Gallo Tre corone, tre gobbi, Colombara del Gato, Pace, Campana, Due spade, Tre scalini, Cul della gallina, Due colombine, Luna, Parigin, Angeli, Due Mori, Morette.

Il vino veniva annacquato sia per correggerne il carattere asprigno determinato da vendemmie troppo precoci, e la forte acidità legata ad una vinificazione a recipienti non coperti, sia «per  riguardo di propria salute» di consumatori certamente non molto nutriti.
Le osterie vendevano il vino a «bozza» che poteva essere di due misure: la mezza e l’intera,  pari l’una a circa mezzo litro e l’altra a un litro. La bozza era di metallo o di bronzo e la sua  capacità veniva garantita dal modello scolpito sul Campione delle misure collocato nel Peronio (oggi nell’atrio della chiesa di S. Vincenzo). La giusta misura da servire prevedeva che la bozza venisse colmata di vino fino all’orlo.

Molti i vini foresti venduti in città tra cui la Malvasia, il Ribolla di Creta e il Trebbiano di Romagna.
Il gran numero di osterie  presenti a Vicenza hanno lascito ricordo di sè nel nome di alcune contrà: della Bissa, della Catena, Do rode, della Fascina, Frasche del Gambero, del Gallo, del Garofolino, della Luna, delle Morette.

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Fonte: Biblioteca Bertoliana

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