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DDL Pillon: conflitto genitoriale e pericolose ipotesi di riforma

DDL Pillon: conflitto genitoriale e pericolose ipotesi di riforma

Le violazioni costituzionali e sovranazionali del DDL Pillon, tra conflitto genitoriale e riforma

Il DDL n.735 del 2018 (e gli altri affini n. 45, 118 e 768) in materia di “affido condiviso, mantenimento diretto e garanzie di bi-genitorialità”, cd “Pillon”, dal nome del Senatore che lo ha presentato come primo firmatario, è al centro di discussioni da parecchi mesi.
Esso propone un impianto costruito sui quattro seguenti pilastri:

1) Mediazione civile obbligatoria

I genitori di figli minori che vogliono separarsi devono prima iniziare un percorso di mediazione familiare, a pena di non poter altrimenti procedere. Il primo incontro è, per legge, gratuito, gli altri si pagano.

2) Equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari

A prescindere da quali siano i rapporti dei figli con i genitori, il figlio minore deve trascorrere con entrambi lo stesso tempo, a meno che non vi siano ulteriori ostacoli materiali. In particolare, il minore deve trascorrere non meno di 12 giorni al mese, pernottamenti compresi, con ciascun genitore. Il giudice, inoltre, stabilirà l’affidamento dei figli in via condivisa ad entrambi i genitori, con doppio domicilio del fanciullo.

3) Mantenimento dei figli in forma diretta

Ciò implica che ciascuno dei genitori dovrà prevedere direttamente al mantenimento del figlio con eliminazione dell’assegno di mantenimento, annullandosi così la funzione di quello che è il c.d. assegno perequativo, in base al quale deve essere tutelato il diritto del minore a mantenere un tenore di vita presso ciascun genitore simile a quello goduto quando la famiglia era unita.

4) Contrasto alla c.d. alienazione genitoriale

Il DDL vuole contrastare la c.d. “alienazione parentale” invocata quando un bambino rifiuta un genitore, sulla base di motivazioni ritenute non attendibili. Gli artt. 17 e 18 del ddl prevedono che se il figlio minore manifesta comunque rifiuto, alienazione o estraniazione verso uno dei genitori, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il Giudice può prendere provvedimenti di urgenza, quali la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, l’inversione della residenza abituale del figlio minore e il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata.

Questi, in estrema sintesi, i quattro punti su cui poggia il DDL n. 735/2018 e che destano molta preoccupazione per le violazioni costituzionali e sovranazionali che potrebbero delineare.

Innanzitutto, laddove si introduce l’istituto della mediazione familiare obbligatoria a pena di improcedibilità, si violerebbe l’art.24 della Costituzione, che sancisce il diritto inviolabile dei cittadini ad agire in giudizio, rendendo altresì impossibile l’accesso diretto alla giustizia nei casi di urgenza o di grave pregiudizio dei minori; si violerebbe, ancora, l’art.24 della Costituzione laddove, non stabilendo l’obbligatorietà dell’assistenza e della rappresentanza tecnica, e prevedendo la possibilità del mediatore di estromettere l’avvocato dagli incontri in sede di mediazione, si causerebbe un grave nocumento al diritto di difesa e di rappresentanza tecnica costituzionalmente garantito. Ancora si violerebbe l’art.24 della Costituzione laddove, nello stabilire l’onerosità del procedimento di mediazione familiare, non è prevista la possibilità di beneficiare del Patrocinio a spese dello Stato. Si violerebbe, poi,  l’art. 48 della Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia con legge n.77/2013, che esige agli Stati di “proibire metodi obbligatori alternativi risolutivi durante i processi, inclusi la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza”, nonché l’art. 2 del d.lgs 28/2010, richiamato nel DDL Pillon, che precisa che possono essere oggetto di mediazione civile solo i diritti disponibili.

La parte del ddl relativa al punto “equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari” violerebbe gli articoli 2, 3, 14 della Costituzione laddove, nel prevedere la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, nel prevedere il doppio domicilio, nell’eliminare l’istituto dell’assegnazione della casa familiare, elevato dalla Corte Costituzionale a parametro fondamentale e prioritario di riferimento (C. Cost. n. 308/2008), elimina il diritto del fanciullo alla conservazione dell’habitat domestico; ciò con un arretramento rispetto alle recenti riforme, quali il decreto filiazione, che ha introdotto, all’art.316 c.c., assieme al concetto di responsabilità genitoriale, anche il concetto di residenza abituale, nell’intento di garantire al fanciullo, anche attraverso il mantenimento di una dimora abituale, una irrinunciabile stabilità esistenziale.

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Il punto del disegno di legge che prevede il mantenimento dei figli in forma diretta violerebbe, invece, l’art. 30 della Costituzione, perché nega ai figli il diritto a non subire conseguenze economiche della separazione: i figli hanno un’aspettativa legittima di continuare a vedere deputate alle loro esigenze risorse analoghe o tendenzialmente equivalenti a quelle dedicategli nel corso della convivenza familiare.

Il punto più critico e più pericoloso del disegno di legge Pillon è quello relativo al “contrasto alla cd alienazione genitoriale”, proposta normativa che violerebbe la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia con legge n.176/199, non considerando né valorizzando la volontà del bambino.

L’alienazione genitoriale, che fino al 2012 veniva chiamata PAS/sindrome di alienazione parentale, è un concetto che si è cercato di introdurre nelle aule di Tribunale per costringere un minore ad accettare la relazione col genitore rifiutato, senza tener conto della sua opinione. Esso è un costrutto ripudiato dalla scienza medica nazionale ed internazionale perché privo di basi scientifiche, così come dichiarato in Italia dal Ministero della Salute nel 2012 e confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7041/2013. Il Prof. Luigi Cancrini, psichiatra e psicoanalista di fama internazionale, Presidente del Centro Studi di terapia familiare e relazionale ha definito detto costrutto “una forma di violenza sui minori, che toglie loro qualsiasi dignità di persona pensante” (cfr. Sole24ore/Sanità 26 mar. – 1 apr.2013).

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La Cassazione richiama alla prudenza, e prudenza dovrebbe seguire pure il legislatore. In una materia così delicata che coinvolge i minori, una norma, che abbia come presupposto una teoria come quella menzionata, rischia di ledere la dignità della persona. Si violerebbe l’art. 32 della Costituzione laddove, agli artt. 9, 11, 12, 17 e 18, nell’ignorare le situazione di violenza endo-familiare, la proposta legislativa punisce severamente presunte ed infondate ipotesi di alienazione genitoriale e laddove, all’art. 14, rende impossibile per il nucleo genitore/minore vittima di violenza, fuggire  dal luogo delle violenze e rifugiarsi in un luogo sicuro e protetto, ledendo in tutti detti casi  il diritto alla salute e all’integrità psicofisica dei soggetti vulnerabili. Si violerebbero inoltre gli articoli 26 e 31 della Convenzione di Istanbul laddove, anche in spregio ad una consolidata giurisprudenza, non si riconosce esplicita rilevanza alle situazioni di violenza e abuso sessuale, neppure ai fini della pronuncia del regime di affidamento dei minori.


Un disegno di legge, dunque, che incide pesantemente sulla vita e sulle emozioni dei figli minori e che poggia sull’errata interpretazione del diritto alla bi-genitorialità, che viene inteso quale diritto dell’adulto a “dividere il bambino a metà” tra i genitori, come ai tempi del Re Salomone, indipendentemente dal suo disagio o dal suo stato di salute, negando al fanciullo qualsiasi possibilità di protezione in caso di genitore violento, mettendo a rischio l’incolumità di madri e figli qualora cerchino di uscire da relazioni violente.

Una proposta di riforma che vedrebbe acuire il conflitto, allungare i tempi dei procedimenti di separazione quadruplicandone i costi,  e che non tiene in considerazione l’ineguaglianza economica ancora presente tra uomini e donne, laddove il 50,7% delle donne italiane non lavora e si occupa esclusivamente della famiglia, mentre il 40% delle donne che si dimette dal lavoro lo fa dopo la nascita dei figli.

Ne emerge un impianto che pare muovere da un quadro irreale e  distante dalle peculiarità del nostro sistema giuridico, politico, sociale ed economico, disancorandosi dalla realtà quotidiana che le famiglie che si disgregano vivono nei Tribunali e note ai giuristi che quotidianamente frequentano le aule giudiziarie.

 

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